«Vi siano musica e canto davanti a te, getta alle spalle tutte le pene e volgi l’animo alla gioia».
Mi torna spesso alla mente il Canto dell’arpista egizio quando penso ai tanti incontri musicali che hanno segnato la mia vita, quando penso a chi è andato a suonare altrove fin troppo presto, ma mai dimenticato. Ricordare fa male, eppure la memoria è un dovere, una necessità: non un rifugio, bensì una preziosa e irrinunciabile occasione per seminare altre stagioni feconde come quelle che abbiamo la fortuna di aver vissuto e condiviso.
Volti sorridenti, amici, si affacciano nelle notti insonni di quest’anno devastante. Eccoli lì i Canciani, i Liani, i Pressacco, i Cecere, i Sofianopulo, i Bruno Rossi. Eccolo lì, con il suo sorridente abbraccio, il coagulante di tutto: Renato della Torre. Musicista e musicologo, amatissimo insegnante (al Conservatorio di Udine), storico, scrittore, giornalista e critico (sul Messaggero Veneto) di migliaia di concerti, il caro René ci ha lasciati troppo presto, il 27 novembre del 2005, proprio il giorno in cui doveva presentare a Venzone, assieme al fedele amico e collega di sempre Giuliano Fabbro, L’innocenza dei ciclopi di Luigi Pozzi, primo capitolo di una trilogia cui stavano lavorando. Giuliano ha continuato il percorso curando la pubblicazione dello Zodiaco celeste e ora della Cerva Savorgnana.
Quest’ultima opera sarà presentata in forma di concerto oggi, alle 16.30, nel Duomo di Venzone (riaperto esattamente 25 anni fa) per la Setemane de culture furlane. La Cerva Savorgnana, edita come numero XLVIII-XLIX 2019-2020 del Bollettino degli Amici di Venzone, sarà proposta dagli Archi del Friuli e del Veneto con Laura Toffoli (soprano), Guido Freschi (violino), Massimo Malaroda (secondo violino), Oscar Pauletto (viola), Riccardo Toffoli (violoncello) e Giuliano Fabbro (basso continuo).
Presentare qui la composizione del grande sacerdote, teologo, musicista e accademico venzonese (1613-1656) ha un doppio significato: far tornare a casa Pozzi attraverso la musica e dire ancora una volta grazie al professor della Torre per quanto ha saputo donare a Venzone, al Friuli, alla sua storia e ai suoi tanti artisti. Renato mai ha negato un aiuto o un consiglio, mai ha negato un dialogo propositivo e costruttivo a quanti frequentavano il Renateum (battezzò così, con umile e saggia autoironia, il suo studio udinese di viale Ungheria): oltre ai nomi citati all’inizio, mi vengono in mente Giulio Avon, Giovanni Zanetti, Renato Stroili, David Giovanni Leonardi, Sergio Zolli, Andrea Marchiol, Luigi De Cecco, Clara Tondo (che ha raccolto in un bel volume un’interessante serie di scritti di della Torre), Giovanni Marsilio e naturalmente Giuliano Fabbro, con la preziosa e insostituibile presenza di Pietro Dore. Era un laboratorio di idee non solo musicali: si discuteva di filosofia, teologia, teatro, poesia e letteratura, di cucina, di folclore e… amicizia.
Oggi, tanto
tempo dopo, quell’atmosfera mi manca molto. Ma l’abbiamo
respirata insieme. È questo quello che conta, è questo il seme più
bello che Renato della Torre ci ha lasciato.