Dal numero 248 di Servitium - Quaderni di ricerca spirituale
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 Tra tutte queste bellezze imperfette una ha segnato la mia memoria. 
Qualche anno fa mi è capitato, insieme ad Annalisa, di trascorrere 
alcuni giorni in Friuli da alcuni carissimi amici, proprio vicino alle 
zone che nel 1976 subirono il devastante terremoto che, per la sua forza
 e capacità distruttiva, venne soprannominato dai friulani Orcolat (orco
 in friulano).
Oltre a farci degustare il pregiato prosciutto di San 
Daniele, questi nostri amici ci hanno fatto conoscere molte bellezze del
 Friuli a noi sconosciute, ma nulla ci ha stupito e ha continuato a 
farci riflettere e discutere fino a oggi come la visita al duomo di 
Venzone.
Si entra e si rimane a bocca aperta. Le ferite della 
ricostruzione sono lì che ti guardano, evidenti e ti trafiggono il cuore
 con la forza di una scossa di terremoto.
Si poteva ricostruire il 
duomo ripartendo da zero, ma si è scelto una tecnica più impegnativa, 
dispendiosa, ma più rispettosa della memoria di quel luogo e, 
soprattutto, più bella: l’“anastilosi”. Ognuna delle 9000 pietre 
lasciate sul terreno dal terremoto è stata raccolta, numerata (su alcune
 pietre si possono ancora leggere i numeri) e ricollocata al suo posto. 
La cosa straordinaria è che i segni della ricostruzione o, se vogliamo, i
 segni della potenza tellurica, sono chiaramente visibili.
Fratture-ricomposte.
Da
 allora, per noi, quell’immagine rappresenta la fragilità ovvero quella 
condizione di rottura, interruzione, frattura, lesione ripetuta che 
richiede, in seguito, il coraggio di ricostruire. 
Don Tonino Bello 
usava accostare la parola “ferita” alla parola “feritoia”. Ferite 
feritoie, ferite che permettono passaggi nuovi, senza cancellare la 
memoria di una rottura, di un’interruzione, di un dramma.
Sarà così anche per questo tempo? [..]
[Arrigo Anzani - la bellezza dell'imperfezione]
